Sconosciuto

Rukmini Devi

Rukmini Devi (Chennai 1904 Chennai 1986) nasce a Madras, oggi Chennai, da una famiglia bramina. La madre Seshammal era una musicista, il padre Neelakanta Sastri un ingegnere della Società Teosofica, tramite il quale Rukmini Devi viene sensibilizzata alla teosofia. Il padre, tuttavia, non fu l’unica figura a presentare a Rukmini la Società Teosofica. In questo percorso, che diventerà poi quasi una vocazione per la sua vita, la giovane venne influenzata dall’incontro con Annie Besant, una delle maggiori esponenti della Theosophical Society di cui fu presidente dal 1907 fino alla sua morte, nel 1933. Maggiore influenza avrà George Arundale, educatore e teosofo britannico che diventerà suo marito nel 1920.

Con il marito, Rukmini Devi Arundale ha l’occasione, tramite diversi viaggi, di conoscere il balletto occidentale e ne viene fortemente attratta. Proprio durante un viaggio in Australia, incontra Anna Pavlova, ballerina russa, la quale le darà la possibilità di studiare con la sua allieva Cleo Nordi, e le consiglierà di avvicinarsi alle arti performative tradizionali indiane. Il suo primo contatto con la danza avviene dunque attraverso una delle maggiori protagoniste del balletto occidentale, a sua volta molto interessata alle danze tradizionali delle più diverse culture.
Nel 1933, dopo la morte di Annie Besant, Rukmini Devi torna in India e si unisce al movimento nazionale indiano per il rilancio della cultura e delle arti indiane. Besant, che proveniva dai movimenti socialisti ed emancipazionisti, aveva a cuore la causa dell’indipendenza indiana e aveva rafforzato il ruolo dell’India nella Società Teosofica, che aveva lì la sua sede centrale. A succederla nella presidenza sarà proprio George Arundale, il marito di Rukmini.

In seguito, accogliendo il consiglio della ballerina russa Anna Pavlova, Rukmini Devi Arundale si dedica alla scoperta e allo studio della danza indiana, il Barhata Natyam, nonostante la disapprovazione da parte della famiglia e del popolo di Madras nei confronti di questa danza.
Un tempo nominata Sadir, il Barhata Natyam era la danza delle devadasi (XVII-XIX sec.). Fu vietata dal movimento di riforma sociale anti-nautica nel 1890 e bandita dal governo coloniale britannico nel 1911, in quanto le devadasi danzatrici e protettrici del tempio, mogli di Dio, non godevano di buona reputazione. Addirittura la Sadir era considerata la danza della prostituzione. Una visione piuttosto equivoca della danza classica indiana, di cui Devi cambierà presto le sorti.

Inizia a studiarla in tarda età (tarda per una ballerina che ne fa una professione), esattamente a trent’anni, ed esordisce nel 1935, nonostante la disapprovazione del suo guru Pandanallur Minakshisundaram Pillai, in occasione delle celebrazioni del Diamond Jubilee of Theosophical Society. Fu allora, anche con l’aiuto del marito George Arundale, che la danza prese il nome di Barhata Natyam, un nome che ne rievoca lo spirito in quanto danza “sacra”, conservata dai guru e rinata per il suo Dio Nataraja. Il nome stesso identifica una nuova rinascita per questa disciplina: Natya significa danza, Bharat significa India. Rukmini ne elabora dei metodi standard con dentro gesti basati sul Natyasastra e sull’arte dei templi che identifica il Bharata Natyam come una danza legata alla scultura, con valore plastico, immobile in alcuni momenti, ed evocatrice degli stati d’animo e le peculiarità delle divinità.

Un anno dopo, nel 1936, Rukmini fonda Kalakshetra, l’accademia di belle arti in cui si studiano musica, danza, arti visive e artigianato, e che diventa presto un’istituzione di forte impronta nel territorio indiano, non solo per lo studio delle materie, ma anche per una buona formazione di insegnante. Tra le prime maestre vi furono le figure delle devadasi, le quali apportarono un aiuto indispensabile per il recupero della tradizione del Sadir che con l’intervento di Rukmini venne “purificata”, liberata dai suoi elementi erotici e dalle chiare metafore sessuali. Con l’istituzione Kalakshetra a Rukmini Devi Arundale può essere attribuita la creazione oltre che la rinascita della danza classica indiana per eccellenza degna anche di una donna bramina come lei.
La creatrice di tale disciplina ne codificò forme che tutt’oggi rimangono punti saldi della pratica. Una rappresentazione “tradizionale” inizia con l’entrata di una danzatrice che in primo luogo rende omaggio alla divinità, al guru, ai musicisti e al pubblico, segue poi l’omaggio alla terra, alla quale la danzatrice chiede scusa in quanto si appresta a calpestarla. Dopo questa introduzione vengono eseguiti di norma sette tipi di danza nel seguente ordine: alarippu, jadisuram, saptam, varṇam, padam, tillāṉā e slōgam. In seguito Rukmini estenderà il significato concettuale della danza, riprendendo alcune tradizioni di danza-drammaturgica. Lo farà integrando una poesia del 1718 in una performance che riscosse molto successo in quanto, per la prima volta, il Barhata Natyam verrà messo in scena in modo ben strutturato e studiato all’interno di un mondo teatrale classico, con un ensemble di danza, musica, teatro e letteratura (Bombay, 1944).

Negli anni Cinquanta Rukmini frequenta i circoli più potenti dell’India, fungendo da ambasciatrice culturale e portando le sue compagnie di danza all’estero per rappresentare l’India.
Oltre alla danza, e alle altre arti performative di tradizione indiana, alla teosofia e all’educazione artistica, Rukmini Devi Arundale si dedicò a tante altre cause. Prestò servizio come parlamentare in India (presso il Rajya Sabha) nel 1952, emettendo nel 1960 un disegno di legge per la prevenzione della crudeltà verso gli animali, tema molto presente nella sua vita, che la vedrà alla presidenza dell’Animal Welfare Board e le varrà diversi premi tra cui il Prani Mitra nel 1968 e la Queen Victoria Silver Medal (conferito dalla Royal Society for the Orevention of Cruelty to Animals). Venne anche proposta nel 1977 come candidata alla carica di presidente del governo indiano, ma rifiutò chiarendo che il suo impegno era del tutto dedicato alla cultura e alle arti indiane, per le quali è stata insignita di numerosi riconoscimenti nazionali tra cui: il Padma Bhushan (1956), Sangeet Natak Akademi (1957), Desikothama (1972) e Kalidasa Samman (1984). Dedicò i suoi ultimi anni alle istituzioni da lei fondate. Morì il 24 febbraio 1986. Una consistente raccolta di fotografie di Rukmini Devi è conservata nell’archivio fotografico di Shri C.T. Nachiappan. [Serena Savasta]

 

Fonti e Bibl.: Rukmini Devi Arundale, Art and Culture in Indian Life, Kerala University Press, Thiruvananthapuram 1975; S Periya Sarada, Kalakshetra-Rukmini Devi: reminiscences, Kala Mandir Trust, Chennai 1985; Komaravolu Chandrasekharan, Dance Dramas of Kalakshetra, KAF Souvenir, Chennai 1985; Indira Viswanathan Peterson, The Evolution of the Kuravañcidance Drama in Tamil Nadu: Negotiating the ‘Folk’ and the ‘Classical’ in the Bhārata Nātyam Canon, «South Asia Research», vol. 18, 1998, pp. 39-72; C. Nachiappan, Rukmini Devi: Bharatanatya, Kalakshetra Publications, Chennai, 2001; Alessandra Lopez e Royo, Classicism, Post-Classicism and Ranjabati Sircar’s Work: Re-Defining the Terms of Indian Contemporary Dance Discourses, «South Asia Research», vol. 23, 2003, pp. 153-169; Sunil Kothari, Photo Biography of Rukmini Devi, The Kalakshetra Foundation, Chennai 2004; Avanthi Meduri, Bharatanatyam as a Global Dance: Some Issues in Research, Teaching, and Practice, «Dance Research Journal», vol. 36, n. 2, Winter, 2004, pp. 11-29; Avanthi Meduri, Rukmini Devi Arundale, (1904 – 1986): A Visionary Architect of Indian Culture the Performing Arts, Motilal Banarsidass Publishers, Delhi 2005; Stacey Prickett, Guru or Teacher? Shishya or Student? Pedagogic Shifts in South Asian Dance Training in India and Britain, «South Asia Research», vol. 27, 2007, pp. 25-41; Prarthana Purkayastha, Warrior, Untouchable, Courtesan: Fringe Women in Tagore’s Dance Dramas, «South Asia Research», vol. 29, 2009, pp. 255-273; Leela Samson, Rukmini Devi: A life, Penguin Books India, Delhi 2010; Eugenio Barba, Nicola Savarese, L’arte segreta dell’attore: un dizionario di antropologia teatrale, Edizioni di Pagina, Bari 2011; Cristiana Natali, Il bharata natyam: l’addomesticamento di una tradizione, «Antropologia e Teatro», n. 3, 2012, pp. 291-336; Pallabi Chakravorty, Intercultural Synthesis, Radical Humanism and Rabindranritya: Re-evaluation of Tagore’s Dance Legacy, «South Asia Research», vol. 33, 2013, pp. 245-260; Matteo Casari, Giuditta de Concini (a cura di), Danzare il Nāṭya. Permanenze e trasformazioni del teatro-danza indiano, Dipartimento delle Arti e ALMADL – Area Sistemi Dipartimentali e Documentali, Bologna 2015; Sambaiah Gundimeda, V.S. Ashwin, Cow Protection in India: From Secularising to Legitimating Debates, «South Asia Research», vol. 38, 2018, pp. 156-176; Gillian McCann, Performing Gender, Class and Nation: Rukmini Devi Arundale and the Impact of Kalakshetra, «South Asia Research», vol. 39, 2019, pp. 61S-79S. 

Sitografia: The better India (URL: https://www.thebetterindia.com/90623/rukmini-devi-arundale-bharatnatyam-kalakshetra-president/); Cultural India (URL: https://www.culturalindia.net/indian-dance/dancers/rukmini-devi.html); Britannica (URL: https://www.britannica.com/biography/Rukmini-Devi-Arundale)