Herman Mishkin (Minsk 1870 – New York 1948) è stato un fotografo russo di adozione statunitense, tra i più noti ritrattisti della Golden Era del teatro d’opera newyorkese.
Nato in una piccola città vicino Minsk, Mishkin (originariamente Mishkovskij) emigra negli Stati Uniti nel 1885, ospite a New York della famiglia Kissin, suoi parenti alla lontana. Dal 1886 al 1888 lavora come apprendista al Van Houten Studio di Brooklyn, e nei successivi due anni al S. A. Thomas Studio di New York. Dapprima ritoccatore, tra il 1890 e il 1902 lavora al fianco di Francesco Roseti, fino a quando all’età di trentadue anni riesce ad aprire il proprio studio al 467 della Fifth Avenue.
Un punto di snodo fondamentale è rappresentato dall’incontro con il fotografo e scultore belga Aime Dupont, trasferitosi a New York con la moglie e fotografa Etta Greer dopo aver consolidato a Parigi la sua reputazione come ritrattista di cantanti d’opera e divenuto ben presto un riferimento importante per la scena artistica dell’epoca e per Mishkin, che ne studia e approfondisce il lavoro.
Attraverso suo cognato, Modeste Stein, Mishkin incontra Oscar Hammerstein, che nel 1906 lo assume come fotografo ufficiale del Manhattan Opera Company, compagnia di opera lirica newyorkese fondata nello stesso anno e attiva sino al 1910. Tale collaborazione gli permette di sviluppare da subito uno stile che si distingue per la nitidezza dell’immagine e l’utilizzo di sfondi neutri; fotografie adatte alla diffusione su giornali e riviste e uno strumento ideale, per Hammerstein, nella competizione pubblicitaria e fotografica con il più antico Metropolitan Opera di New York per le successive quattro stagioni d’opera. Quando questa battaglia delle immagini si conclude a favore del Met, il direttore generale Giulio Gatti-Casazza firma un accordo con Hammerstein in cui si prevede il passaggio in compagnia del cantante Charles Gilibert e di Mishkin come fotografo ufficiale, un ruolo che fino al 1906 era stato ricoperto dall’attore e fotografo Frank C. Bangs.
Gli anni Dieci e Venti – con lo studio ora al 471 della Fifth Avenue e a una filiale a Brooklyn, al 498 di Fulton Street – rappresentano per Mishkin l’apice del successo come ritrattista del Metropolitan Opera, con una specifica produzione rivolta ai cantanti, ma che vede tra i soggetti più riprodotti su riviste e manifesti anche Anna Pavlova, fotografata dall’autore in più di cento scatti. La fotografia di scena è affidata ai fotografi dei White Studios, mentre Mishkin ritrae le stelle del Met in sala posa. Quando all’inizio della sua seconda stagione, nel novembre 1911, avanza una richiesta alla direzione del teatro per poter lavorare anch’egli sul palcoscenico, e lasciare in gestione le stampe ai White Studios, l’offerta viene rifiutata.
Il suo contratto con il Met, nel 1910, prevedeva che egli fornisse loro «tutte le fotografie necessarie a scopi pubblicitari in cambio del diritto esclusivo di esporle nella hall del Metropolitan Opera House, in cornici adattate appositamente per armonizzarsi con le decorazioni interne». Il numero di fotografie da distribuire alla stampa non doveva superare le millecinquecento copie, ed era previsto un costo di dieci centesimi per ogni extra. Il numero di soggetti era limitato agli artisti principali e ai nuovi membri della compagnia, mentre il copyright era rilasciato su tutte le fotografie per la pubblicazione. Era inoltre previsto che gli fossero assegnati due posti per uno spettacolo a settimana. Con piccole modifiche su numeri e tariffe delle fotografie, questi sono essenzialmente i termini contrattuali in base ai quali Mishkin lavora fino al 1932, figurando nei programmi del Metropolitan come “Official Photographer”.
Intanto, nel contesto degli studi professionali in città, lo status di fotografo ritrattista si lega sempre più alle capacità e alle possibilità di organizzare il proprio set come ambiente allestito. In discontinuità rispetto al lavoro svolto per Hammerstein, prima del contratto con il Met Mishkin acquista uno sfondo pastorale, molto simile a quello di Dupont, che diventa un autentico segno di riconoscimento per le sue fotografie di quel periodo. La stessa invariata autenticità non si può attribuire alla firma che porta il suo nome, poiché, come servizio ai cantanti del Met, egli spesso riproduceva in stampa il lavoro di altri fotografi e lo contrassegnava come suo.
Dai racconti di chi lo ha conosciuto, emerge come la personalità di Herman Mishkin sapesse creare in studio un’atmosfera di liberazione dei soggetti operistici dall’imbarazzo della costrizione di posare in assenza di movimento. La capacità di realizzare immagini che riproducessero la danza, il canto e la recitazione senza esasperare la tensione drammatica del gesto e della posa sembra essere connessa a due specifiche valutazioni, che finiranno per caratterizzarne lo stile: la prima di natura tecnica, data dalla scelta di fotografare a dodici piedi di distanza al fine di mantenere un distacco fisico dal mezzo fotografico e ridimensionare il più possibile l’impulso dimostrativo e l’esasperazione espressiva dell’interprete di fronte ad esso; la seconda di natura formale, data dalla volontà di adattarsi alla ricerca estetica sempre meno ornamentale della fotografia moderna.
Tra il 1921 e il 1925, il suo studio si sposta dal 471 della Fifth Avenue, poco distante dalla Opera House, al 605 della Fifth Avenue nella 49th Street. Il trasferimento in un luogo meno accessibile comporta un netto calo dei ritratti in costume e nel 1932, alla scadenza del suo ultimo contratto, lo studio di Mishkin si trovava quattro isolati ancora più in là, al 677 della Fifth Avenue.
L’utilizzo massiccio della fotografia pubblicitaria nei giornali richiedeva uno stile ritrattistico sempre meno impostato e un approccio documentario alle attività di backstage, prove e performance che comportava una relazione di continua prossimità con i teatri. L’incarico a Carlo Edwards, fotografo dilettante dello staff dei conduttori del Met, insieme all’ingresso del New York Times Studio nel teatro, segnano in questo senso un passaggio di testimone definitivo. Due lettere di Mishkin a Gatti-Casazza documentano gli ultimi giorni del suo lavoro per il Metropolitan e il suo disappunto per i nuovi fotografi ufficiali incaricati di sostituirlo. Nei mesi successivi del 1932 egli trasferisce il suo studio e la sua casa a Brooklyn, dove vivrà fino al 1948.
Il fondo dei suoi negativi è conservato tra il Culver Pictures Archive e i Metropolitan Opera Archives. [Francesca Pietrisanti]
Fonti Bibl.: Mary Ellis Peltz, Behind the gold curtain; the story of the Metropolitan Opera: 1883-1950, Farrar Straus, New York 1950 (disponibile su archive.org); Mary Ellis Peltz, The magic of the opera; a picture memoir of the Metropolitan, Praeger, New York 1960 (disponibile su archive.org); Robert Tuggle, The Golden Age Of Opera, Holt, Rinehart & Winston, New York 1983 (disponibile su archive.org).
Sitografia: scheda biografica a cura di David S. Shields [URL: https://broadway.cas.sc.edu/content/herman-mishkin]; scheda biografica a cura della National Portrait Gallery di Camberra [URL: https://www.portrait.gov.au/people/herman-mishkin-1871].